TEATRO/EMANUELA GRIMALDA
E LE DONNE ‘MALATE’ DI MATERNITÀ

le dispettose eleonora mazzoniLECCO – Serata di primavera al Cine-Teatro Palladium con un esperimento tutto al femminile. In origine c’è il romanzo di Eleonora Mazzoni, Le difettose (Einaudi, 2012), captato da una lettrice a caccia di storie, Emanuela Grimalda, istrionica presenza a teatro e in televisione (il grande pubblico la ricorda per la sua Ave in “Un medico in famiglia”). E infine una regista d’eccellenza come Serena Sinigaglia ha dato il suo contributo per l’impianto generale. Il prodotto finale è un monologo assai godibile, con la giusta alternanza tragico-comico, toni crudi-meditativi.

La scena, curata da Stefano Zullo, è disseminata di treppiedi portaflebo con un’anima luminosa: siamo in un ospedale. Non è però un reparto di degenza: quelle sacche rigonfie che si illuminano come lucciole rinviano a presenze ectoplasmatiche e rappresentano le luci di speranza che si accendono nel sogno della maternità. Questa infatti è la sala d’attesa della Procreazione Medica Assistita.

Emanuela Grimalda (stefano zullo)All’inizio Grimalda è l’anziana infermiera che regala pillole di saggezza: gli anni l’hanno portata a un certo stanco cinismo verso le pazienti, lamentose e piene d’ansia. La sua voce distaccata e ironica ci introduce in questo strano mondo di donne “difettose”, che non sono riuscite ad avere figli per vie naturali e ora si aggrappano alla scienza come ultima risorsa. Condividono paure e speranze, parlano solo di “ovette”, “spermini”, “embrioncini”, ritardi e “malefiche rosse”. Gonfie di ormoni, le «aspiranti madri stagionate» sembrano tante galline da allevamento, che sospirano “la cova” per “incicognarsi”, cioè restare incinte, con una trepidazione che rasenta il panico dell’ossessione.

emanuela-grimalda-fattitalianiBasta un paio d’occhiali, un cappello, la borsa, i capelli sciolti o raccolti, e soprattutto l’intonazione, ed ecco che la versatile Grimalda dà vita a un altro personaggio. Grazie alla fluidità e alla leggerezza comica dei passaggi, l’attenzione degli spettatori resta sempre viva: è come assistere alle danze di pesci variopinti intrappolati nello stesso acquario. Sette personaggi e sette cadenze linguistiche diverse e a tratti caricaturali: c’è il toscano dell’amica Katia, felicemente lesbica a Bruxelles; il bolognese della mamma oppressiva e distratta; il portoghese del brasiliano Thiago, maestro-guru del benessere alternativo; il romanesco di Marco, marito stremato dai continui tentativi falliti di fecondazione, e poi la lingua dell’affetto della nonna, e infine il tecnicismo della dottoressa, che scivola in visioni utopiche di un futuro iper-scientifico.

Invischiata nella logica assurda di questo gineceo è la protagonista Carla, 39 anni. Mentre si immerge per la quinta volta nel rituale di cure ormonali, esami, pick up, transfer, possiamo seguire i suoi pensieri e vedere il mondo attraverso i suoi occhi: lo squallore dell’ospedale, la freddezza della dottoressa, l’invidia per l’amica che ce l’ha fatta, lo stillicidio angosciante dell’attesa, con punte iperboliche di comicità (come quando dall’odore acre del proprio sudore cerca di indovinare una variazione propizia di ormoni).

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Fare un figlio, o meglio «riempire il mondo con un figlio», significa completare il tassello mancante per essere finalmente “giusta”, cioè fare quello che la società si aspetta da lei, infilarsi in una scia di normalità per somigliare alla madre e alla nonna ed esibire al mondo la “prova” della sua capacità “creativa”. Dal suo orizzonte manca l’idea di famiglia, il diventare un “noi”, dedicarsi alla cura dell’altro, perché Carla è dominata dall’ossessione del tempo, un ticchettio crudele di orologio. Poco importa se l’esempio materno è “difettoso” (una madre troppo indaffarata ed egoista per capire a fondo la figlia). Carla è come accecata: ragiona soltanto attraverso l’equazione donna=fertilità, rischiando di mettere a repentaglio la propria salute e anche il rapporto di coppia.

A riportarla verso un sentiero di equilibrio è la riflessione sul tempo del filosofo latino Seneca: «Sii felice di ciò che ti appartiene. Fa’ tesoro di tutto il tempo che hai. Sarai meno schiavo del domani, se ti sarai reso padrone dell’oggi». Fare i conti con il tempo significa vivere il presente, evitando di rovesciare tutte le energie su un futuro evanescente. Fare figli per riempire il vuoto del tempo non è una soluzione. Meglio fermarsi qui, cioè dedicarsi al qui e ora. Una lezione profonda, dettata con la freschezza del sorriso.

Gilda Tentorio

Le difettose

tratto dal romanzo di: Eleonora Mazzoni
con: Emanuela Grimalda
Drammaturgia: Eleonora Mazzoni, Emanuela Grimalda, Serena Sinigaglia
Regia: Serena Sinigaglia