MIGRAZIONI: A CALOLZIO
LE TESTIMONIANZE
DEI SALVATAGGI IN MARE

Arci Calolzio 3CALOLZIOCORTE – “Ci troviamo a vivere un momento scoraggiante”: esordisce così Duccio Facchini all’inizio di un incontro promosso da Qui Lecco Libera, Circolo Arci Spazio Condiviso, Comunità Il Gabbiano ONLUS, Associazione L’altra via ed Atreconomia.

Con l’intento di comprendere cosa stia accadendo nel Mediterraneo, sono quindi stati invitati come diretti testimoni dei soccorsi in mare Giovanna Scaccabarozzi e Riccardo Gatti.

Introdotto dalla lettura di dati che inesorabilmente sfatano i luoghi comuni legati ai “taxi del mare” ed ai “numeri dell’invasione”, il primo a parlare è Riccardo Gatti della ONG Proactiva Open Arms. E subito sottolinea come le informazioni veicolate agli italiani siano radicalmente altro dalla realtà dei fatti. Un semplice esempio: è stato comunicato che il Governo avrebbe proposto di sbarcare donne e bambini ma che Aquarius si sarebbe rifiutato. Secondo Gatti in realtà la proposta del Governo riguardava esclusivamente le donne incinte. Il risultato? L’opinione comune percepisce che Aquarius non vuole collaborare mentre il Governo tenta di fornire il proprio aiuto ed appoggio.

Gatti è deciso in particolare a porre in rilievo un aspetto dei salvataggi facilmente omesso o dimenticato: “le ONG operano sotto coordinamento della Guardia Costiera, che ci comunica dove andare a recuperare i migranti e poi dove sbarcare”. E ribadisce a più riprese che lo sbarco per legge deve avvenire “nel porto più vicino e più sicuro”, perciò le ONG non possono essere accusate di voler “forzare l’ingresso dei migranti in Italia”. Chiude con amarezza, ricordando che negli ultimi due anni si è assistito ad “una campagna denigratoria contro i migranti e le ONG, che hanno subito attacchi anche da parte della magistratura”.

Comincia poi a raccontare Giovanna Scaccabarozzi, medico che tra il 2016 ed il 2017 ha lavorato a bordo di diverse imbarcazioni implicate nei soccorsi: “il ritmo di lavoro durante un soccorso è tale che non hai nemmeno il tempo di pensare, perché il bisogno intorno a te è enorme”. Quando i migranti salgono a bordo, i medici eseguono un rapido triage, per capire la gravità del loro stato di salute e di conseguenza decidere l’area della nave a cui destinarli. Scaccabarozzi ricorda “di aver stretto almeno 7000 mani. Il triage per me partiva da una stretta di mano, per dare subito un segno di umanità”. E commenta: “vedevo occhi di fantasmi che non riuscivano a capire se fossero ancora vivi o già morti”.

Arci Calolzio 1Ma soccorrere i sopravvissuti alla traversata non è l’unico compito di un medico a bordo di queste navi: “ho dovuto soccorrere anche molti morti. Il Mediterraneo è diventato un grande cimitero”. E a riprova della consapevolezza nei migranti della forte possibilità di morire, menziona il fatto che sui pantaloni di molti si trovano scritti con inchiostro indelebile nome e numero di telefono della famiglia, da contattare in caso di decesso. A partire quindi dalla concreta esperienza vissuta in mare, commenta la situazione di Aquarius, diretta ora verso la Spagna: “non si può sostenere che i migranti a bordo di Aquarius stiano bene. Non si possono lasciare in mare per giorni persone in queste condizioni”. Ed elenca: “oltre al trauma della traversata, queste persone sono colpite da disidratazione, insolazioni, mal di mare e malnutrizione”. Ma non solo. Ricorda quindi a titolo di esempio il salvataggio di tre ragazzi che presentavano fratture al femore non trattate da più di tre mesi, perché caduti dal pick up con cui stavano attraversando il deserto. 

Arci Calolzio 2E per ribadire la terribile situazione dei campi di prigionia libici, si racconta questo: quando durante i salvataggi le ONG vengono affiancate da motovedette libiche, accade che alcuni migranti presi dal panico si buttino in acqua, perché sostengono di preferire la morte per annegamento ad un possibile ritorno in Libia.

E si conclude: “Quando si parla di 80% di sbarchi in meno, chiedetevi dove sono finite queste persone. Hanno fatto ritorno in patria oppure sono rimasti in Libia? Di questo ci chiederanno conto i nostri nipoti”.

Ileana Noseda