L’ERETICO DELIRANTE LAZZARETTI
DI SIMONE CRISTICCHI APRE
AL SOCIALE “ALTRI PERCORSI”

cristicchi lecco (2)LECCO – La rassegna “Altri Percorsi” martedì 4 aprile al Teatro della Società ha aperto con un monologo di spessore, Il secondo figlio di Dio, a firma di Simone Cristicchi, cantautore e attore romano molto apprezzato. In questo suo lavoro ci racconta una storia “che se la ascolti non ci credi e se non te la raccontano non la sai”: protagonista un semplice barrocciaio della Maremma, David Lazzaretti (1834-1878), che diventa “guru” religioso e profeta. Cristicchi ha il fiuto per le storie vere dimenticate: questa volta la scoperta è stata casuale, o come ama ripetere, è il personaggio stesso che lo ha cercato per farsi ri-raccontare, a teatro e anche in un libro (Il secondo figlio di Dio. Vita, morte e misteri di David Lazzaretti, l’ultimo eretico, Mondadori 2016).

Il risultato è una bella prova di maturità attorale. Cristicchi, abile regista della propria voce, è il narratore che conduce il filo della storia, ma calibrando accenti e tonalità, diventa anche il protagonista Lazzaretti, la moglie, il coro dei paesani, il parroco… Lucido, non si perde in dettagli e guida lo spettatore a penetrare il mistero di questa straordinaria figura. In scena, centro focale e immaginativo, un carro di legno carico di fagotti rappresenta il barroccio di Lazzaretti, su cui Cristicchi si arrampica o gli gira attorno. Instancabile, lo sposta, lo solleva per le stanghe, reclina le sponde, alza uno schienale: ecco allora il carro diventato seggio papale, pedana da cui gridare le sue prediche, e poi pianali segreti si spalancano in effetti speciali (un gonfalone, una cascata di gigli).

Il carro ci ricorda che questa storia incredibile ha un’origine umile, dal sapore maremmano. Tutto inizia nel paese di Arcidosso, ai piedi del monte Amiata, che è in realtà un vulcano spento. Pare proprio che Lazzaretti abbia un vulcano dentro, come spiega lo stesso Cristicchi in un momento meta-teatrale, avvicinandosi al bordo del palcoscenico. Chi fu Lazzaretti? Scrittori e intellettuali si sono interrogati sulla sua vicenda (Pascoli, Tolstoj, Maupassant, Gramsci). Fu un “mattoide affetto da mania religiosa”, sentenziò Cesare Lombroso, mentre per i suoi compaesani era uno “strullo”, un gigante buono ma un po’ strambo, che talvolta cadeva preda di alte febbri ed emicranie.

Dopo le lotte risorgimentali, “cambiano i musicanti ma non la musica”, l’Italia è unita, ma continua a essere povera e arretrata. Lazzaretti si convince che è imminente l’arrivo di un messo divino: visioni apocalittiche popolano i suoi deliri e San Pietro e la Vergine gli ordinano di avvisare il Papa in persona. Vive come un eremita, scrive lettere ai potenti del mondo, vende muli e barroccio e predica buoni consigli. La sua fama di santone si diffonde e inizialmente la Chiesa lo tollera: in tempi grami di materialismo dilagante, anche la conversione di un barrocciaio può essere utile a rinsaldare la fede di pecorelle smarrite.

cristicchi lecco (1)Lazzaretti pare innocuo, “un incrocio fra un brigante e un profeta“, ma fa sul serio e ha moltissimi proseliti. Tenta di costruire una chiesa: le colonne dell’edificio sono canne di bambù infilate in verticale lungo le stanghe del carro, con un effetto curato anche nell’estetica, ma come nel gioco Shanghai le canne si spargono a terra d’un colpo, perché infatti l’edificio crollò miseramente. Presso i fedeli però non crolla il fascino travolgente di Lazzaretti: lo seguono fino alla cima del monte Labbro, dove edificheranno una torre a spirale, simbolo dell’unione fra uomo e Dio.

Gli uomini sono come le api: ognuna ha la parte di miele necessaria, questo dice il libro della Natura“, predica Lazzaretti e queste idee semplici e rivoluzionarie di uguaglianza danno speranza agli umili, oppressi dai padroni e dallo Stato, ma sono apprezzate anche da nobili progressisti. La sua utopia comincia a prendere forma concreta nel 1871, con la fondazione della “società delle famiglie cristiane”, una comunità autosufficiente con migliaia di iscritti, che mette in comune i beni. Secondo alcuni, un pericoloso esperimento socialista e anarchico, che istiga i poveri a ribellarsi all’autorità (troppi di loro imparano a leggere e scrivere). Lazzaretti viene arrestato, ma l’eco della sua impresa è giunto fino in Francia e in Gran Bretagna: il suo messaggio ha sedotto intellettuali, avvocati, ricche ereditiere, che lo stimano e lo salvano nei momenti critici. Le idee nuove che gli premono dentro si riversano in libri che fanno inorridire i prelati: la parità fra uomo e donna, la profezia degli Stati Uniti d’Europa, ma soprattutto la frase-simbolo “io sono Cristo e voi tutti cristi come me“.

Forse è stato giudicato un pazzo – riflette insieme a noi Cristicchi – perché ha voluto opporre la Chiesa esteriore alla “chiesa interiore, il santuario inviolabile della coscienza”, sottolineando che la scintilla divina in ognuno di noi ci porta a plasmare la realtà e dare spessore concreto ai nostri sogni. Il suo sogno si scontra con la Storia: è scomunicato e infine ucciso dai gendarmi, a cui si offre vittima sacrificale, per dare compimento alla profezia. Solo alla fine scopriamo l’identità della voce narrante: è Antonio Pellegrino, colui che sparò al Cristo dell’Amiata. La sua narrazione è pertanto una forma di espiazione, un omaggio al carisma misterioso e affascinante di un “eretico”, cioè un non-allineato, capace di sognare e di trasformare gli altri. La croce che oggi si erge sull’Amiata non è la sua, perché Lazzaretti fu sepolto in terra sconsacrata: “non sono tutte uguali le croci dei figli di Dio”, commenta amaro Cristicchi. La libertà di pensiero fu allora soffocata nel sangue, per paura che dai monti dilagasse nella valle, a rovesciare i privilegi e le logiche del potere.

Gilda Tentorio