“DER DOKTOR” SUL PALCO DI LECCO:
QUATTRO STORIE BRUCIANTI
PER LA NECESSITÀ DI MEMORIA

der doktor (progetto4 - emanuele drago) (3)LECCO – Anche quest’anno l’amministrazione lecchese ha aperto alla cittadinanza un evento teatrale gratuito (grazie al contributo di Acel Service) per onorare la Giornata della Memoria, fissata al 27 gennaio, data della liberazione del lager di Auschwitz nel 1945. Non una stanca ripetizione, bensì “rito”, nel senso più sacro e positivo del termine, come ha ricordato il sindaco Virginio Brivio facendo riferimento alla celebre pagina del Piccolo Principe: “rito è quello che fa un giorno diverso da tutti gli altri”. Così dovrebbe essere per ogni 27 gennaio, un “appuntamento per la nostra coscienza di cittadini”, sottolinea il primo cittadino, che auspica, soprattutto in questi nostri tempi difficili, l’opportunità di contagiare e propiziare la memoria, per evitare che il nostro mondo sia sopraffatto dall’indifferenza e dalla superficialità. Un messaggio commosso che vale come dedica ideale alla missione di testimonianza esemplare di Pino Galbani, da poco scomparso, uno dei pochissimi sopravvissuti di quei piccoli grandi eroi lecchesi deportati ad Auschwitz nel marzo 1944.

Il teatro ha la capacità di coltivare e arricchire la nostra memoria ed è in questa direzione che si muovono le storie narrate in Der Doktor, (produzione Progetto4 Milano, regia di Emanuele Drago) spettacolo che sta attraversando l’Italia e ha già ottenuto diversi riconoscimenti. Quattro spaccati di vita accomunati dall’orrore. Il primo a prendere la parola è un medico militare (Marco Marzari), ispirato alla figura di Mengele, l’Angelo della Morte di Auschwitz. Con gelido e lucido orgoglio egli chiede a un invisibile giornalista di rivelare al mondo quanto viene compiuto nel lager, al servizio del Terzo Reich e soprattutto della ricerca scientifica. In nome di un delirante “disegno più alto”, il medico incide tessuti, mozza arti, inocula malattie, annota con ossessione i sintomi e le tempistiche di agonia e di morte delle sue vittime, soprattutto bambini.

der doktor (progetto4 - emanuele drago) (2)Alla sua confessione si alterna la voce (Barbara Sirotti) di una prigioniera, che racconta la fame, il dolore, l’animalesco istinto di sopravvivenza: le sue parole sono ispirate alla testimonianza di Liliana Segre. Sul fondale scorrono proiezioni di ombre, lacerti di immagini, e in sottofondo si sente il battito bloccato di fragili ali: una falena impazzita che vorrebbe spiccare un volo di libertà impossibile, oppure un insetto-mostro in agguato con il suo veleno mortifero?

I successivi due monologhi ci proiettano nei risvolti tragici del post-orrore. Ruth (Ketty Capra) è una bella attrice polacca nel jet set della Hollywood tutta lustrini e bionde patinate degli anni ’50-’60. Ma dentro di sé cova il dolore insopprimibile dei sopravvissuti. Parla con i suoi cari fantasmi: il marito, prelevato dalle SS e mai più tornato, e il figlioletto di sette anni mandato alle camere a gas. “Perché sei sopravvissuta?”, le chiede qualcuno con curiosità morbosa, ed è questo lancinante senso di colpa che continua ad attanagliarla. I carnefici le hanno risparmiato la vita, ma le hanno ucciso l’anima.

der doktor (progetto4 - emanuele drago) (1)Le lancette della memoria si spostano infine agli anni ’80 e l’intensa interpretazione di Carlo Zerulo dà corpo al dramma di Junkie (sul testo di Emanuele Tremolada). Sul suo braccio non c’è l’infame tatuaggio numerico del lager, bensì i buchi lividi dell’eroina: questo suo corpo, il suo stesso esserci diventa per lui “lager” dell’interiorità. Junkie infatti è frutto di quella violenza: figlio di una prigioniera e di una guardia tedesca del campo, porta in sé i segni indelebili della vittima e del carnefice. Soffre soprattutto per l’abbandono della madre, che ha scelto il proprio diritto a dimenticare l’orrore, seppellendo nell’oblio quel figlio che ancora oggi non riesce a trovare un senso alla propria vita.

Mentre scorrono le cifre del massacro, dalla A di Auschwitz alla T di Treblinka, riflettiamo sulle quattro facce del ricordo, così come sono state declinate nello spettacolo: l’orgoglio del carnefice, il dovere della testimonianza, la cicatrice inguaribile e la colpa marchiata nella carne. Non è una memoria che riposa pacificata, ma che urla la propria necessità. Anche e soprattutto oggi.

Gilda Tentorio